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Credito e sviluppo nell'UE: il caso del Mezzogiorno italiano. Intervista a Gaetano Mastellone

08/04/2022 15:25

Euroeconomie

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Credito e sviluppo nell'UE: il caso del Mezzogiorno italiano. Intervista a Gaetano Mastellone

a cura di Patrizia Gallo

Euroeconomie privilegia analisi di macroscenario su scala continentale senza però essere disattenta a proporre disamine più specifiche su aree regionali circoscitte dell'Unione.

In questo quadro, Patrizia Gallo propone, per le rubriche Macro/Scenari e Cultura Economica, una interessante intervista con il dott. Gaetano Mastellone. Il dirigente apicale di banche estere e italiane traccia, nel rispondere alle domande di Patrizia, una articolata disamina del ruolo svolto dal sistema creditizio nello sviluppo del Mezzogiorno italiano come macro-regione europea inclusa nelle beneficiarie di fondi delle politiche di coesione UE.

La redazione

 

Lei ha diretto istituti di credito operanti nelle regioni che la Commissione europea classifica come meno sviluppate tra le destinatarie delle politiche di coesione. Che giudizio si è fatto del fattore credito nello sviluppo del mezzogiorno italiano?
Per me dirigere servizi e banche nel mezzogiorno, dopo trent’anni di gestione in varie parti d’Italia in banche a capitale straniero (prima americano poi tedesco), è stata un’esperienza facile sotto l’aspetto della gestione ma abbastanza difficile per quanto concerne l’ambiente di lavoro interno ed esterno. Comunque è stata un’esperienza davvero interessante. Spero, oltre al conforto dei numeri che ho gestito e lasciato in ordine, di
aver dato alla Clientela del Mezzogiorno un plus in più! Il problema Mezzogiorno & Credito nasce da lontano, da molto lontano! Poi dalla famosa crisi del 2008 i problemi si sono accentuati perché il tessuto delle fragili
imprese meridionali si è in gran parte come disciolto per questioni strutturali e di ambiente - mercato. Per debellare il cancro del sottosviluppo del Mezzogiorno occorre in primis che le Regioni puntino sull’efficienza
delle loro amministrazioni; poi più servizi innovativi, informatizzazione e più infrastrutture. Ancora oggi però questo è nel “libro dei sogni”.

Il credito bancario, spesso gestito con poca attenzione e poca professionalità, non è stato mai in grado d’essere un vero stimolo dell’economia attraverso un sano - corretto finanziamento alle imprese. Poi è avvenuta l’era delle acquisizioni delle banche del sud (spesso imposte) da parte forti istituti di credito del nord e così sono venute a mancare anche la territorialità e la vicinanza delle strutture decisionali che, nel bene o nel male, accorciavano i tempi di risposta. Purtroppo le aziende meridionali sono abituate a essere altamente indebitate e molto dipendenti dal credito: la loro quota di prestiti bancari sul totale delle passività è oggi ancora vicina, o più, al 70%. Il settore bancario del mezzogiorno ha visto il proliferare di numerose piccole banche che ai primi venti di crisi non hanno più avuto la capacità di reggere il sistema. Le aziende meridionali sono oggi ancora in affanno, oltre per questioni di mercato e mancanza di infrastrutture, anche perché oggi il credito è gestito in modo più attento e prudenziale proprio per la catastrofe abbattutasi anche sul sistema creditizio meridionale e le aziende non sono abituate. Gli imprenditori quindi dovranno sforzarsi di più per conferire trasparenza ai bilanci e aprirsi al vaglio da parte di soggetti esterni. Insomma ci vuole più qualità e trasparenza! Va anche maggiormente rafforzata la base patrimoniale, l’imprenditore deve esprimere maggiore fiducia verso la sua stessa azienda dandole solidità finanziaria e patrimoniale. Tutte queste richiamate caratteristiche se non diventeranno un must limiteranno la capacità di crescere, investire, creare occupazione. Il mio giudizio finale è che il sistema banche & imprese del mezzogiorno era un’entità assai legata al rapporto “territorio / conoscenza” che, invece di creare valore, ha portato spesso a una gestione del credito poco attenta! Oggi va un pò meglio, ma non ancora abbastanza.

 

L'Unione europea ha destinato con il Recovery Fund ingenti risorse all'Italia, parte delle quali andranno in quota agli investimenti al Sud. Ritiene una tale mobilitazione di risorse sia una occasione importante per rigenerare il tessuto economico che intendono sostenere?
Il raggiungimento degli obiettivi Recovery Fund per rigenerare il sistema economico è possibile. Però! Ci sono tanti però! Bisogna essere ben chiari perché si nota che gli appetiti sono tanti e di tanti. Bisogna, anzi direi è necessario, che vi sia un radicale cambio di passo nel buon funzionamento delle amministrazioni pubbliche, a ogni livello di governo. Bisogna sradicare l’inaccettabile “triangolo illegale”, evasione, corruzione, criminalità. Il Recovery Fund è un ottimo mezzo – strumento per crescere ma diciamolo a “voce alta” che la sicurezza e il rispetto delle norme (civili, penali, fiscali) sono prerequisiti irrinunciabili e sui quali non è possibile transigere. Oramai siamo nel 2022 e l’affrontare la questione meridionale continua ancora a essere un imperativo morale e una questione dirimente per lo sviluppo del nostro paese nella totalità. La relativa inefficacia delle politiche che sono state seguite dalla seconda metà degli anni 90 e tutte le politiche seguite si sono dimostrate inefficaci. La fragilità e la perdita di terreno del Mezzogiorno sul piano economico hanno mostrato tutti i suoi terribili effetti nella crisi finanziaria. In Italia l’autonomia regionale non ha portato quindi i frutti sperati. L’applicazione dei modelli gestionali bottom-up non si sono manifestati positivi in Italia.
È solo da un rinnovamento del Patto di appartenenza a una comunità nazionale e da una rinnovata responsabilità nazionale sulla questione meridionale che può venire un miglioramento della qualità degli
interventi. La domanda che mi pongo è questa: siamo pronti? La Risposta che in trasparenza mi devo dare è questa: non credo!

 

La probabile evoluzione restrittiva delle condizioni di politica monetaria nell'Unione possono influenzare volumi e qualità dell'offerta di credito in Italia, terza economia dell'eurozona?
La risposta “brutale” a questa domanda è sì! Le politiche di credito del sistema bancario italiano sin qui adottate in “clima Covid-19” sono state soddisfacenti ed hanno contribuito alla resilienza dell’economia italiana perché hanno continuato a erogare credito a famiglie e imprese. Per il futuro? Incertezza sarà questo il tema dominante degli scenari di politica monetaria nell’Unione perché ci troviamo in un tunnel (Covid più
Guerra) imprevisto e imprevedibile. Oltre allo shock Covid-19 la guerra in atto, a seguito dell’invasione della Russia sull’Ucraina, ha già colpito, e colpirà duro, l'economia europea. Lo scenario futuro ha tante incognite (non dimentichiamoci del Debito Pubblico) che non sono ancora venute a galla anche perché al momento non vi sono certezze sull'impatto che avrà la guerra in Ucraina. Ci sarà di certo una politica più restrittiva anche per aiutare a calmierare l'inflazione galoppante, e quindi ci sarà come effetto collaterale il raffreddamento della crescita. Tutto ciò, come ho già richiamato prima, la deflagrazione del conflitto alle porte dell'UE sta già impattando pesantemente sull'economia europea, attraverso i prezzi del gas, delle materie prime agricole e di tutti gli altri legami economici con l'Est. Recentemente il dott. Andrea Enria, Presidente del Consiglio di Vigilanza della BCE ha dichiarato: “Tuttavia l’impatto della pandemia sull’economia non si è ancora esaurito. Le banche devono restare consapevoli delle possibili conseguenze per i propri bilanci e rafforzare, in particolare, i sistemi di controllo dei rischi e i dispositivi di governance”. Ciò significa un richiamo alla prudenza gestionale che di solito comporta una restrizione sull’erogazione del credito.

 

Che cosa può fare il sistema creditizio in questa nostra parte d'Europa protesa nel Mediterraneo alle prese con la coesistenza di due criticità come una incombente stagflazione ed gli alti tassi di disoccupazione?

Credo molto poco. Il mezzogiorno ancora non si è abituato all’assenza della struttura bancaria territoriale, ne abbiamo già fatto accenno prima, che in altre epoche era in grado di valutare la performance industriale al di là di quella finanziaria, e quindi venire in aiuto nelle fasi di crisi valutando non solo le probabilità di ripresa, ma anche il peso sul territorio di riferimento. Le regole sono cambiate e manca anche perché negli anni sono caduti sportelli periferici come foglie secche. E manca, forse, l'interesse delle istituzioni per il Mezzogiorno. Ne avevo già fatto un accenno nella prima domanda. Poi voglio rilevare un altro aspetto negativo che si disegna all’orizzonte. Negli ultimi due anni di Covid-19, oltre all'intervento europeo si è avuto quello statale, soprattutto in termini di garanzie del credito. Ora però tutto questo verrà progressivamente meno, e le imprese italiane saranno sostanzialmente divise in due categorie: quelle che hanno utilizzato i prestiti per coprire le spese o per mantenersi in attività, e quelle, tipicamente di dimensioni maggiori e meno legate al territorio, che hanno comunque richiesto i prestiti garantiti ma non li hanno spesi, ammassando liquidità. Le prime, con il venir meno delle garanzie, avranno difficoltà a ripagare il debito, che andrà quindi a pesare sulle casse dello Stato (circa 250 i miliardi garantiti dallo Stato, cui si aggiungono i circa 31 miliardi di "garanzia Italia"). Molte imprese falliranno, a cominciare da quelle piccole e piccolissime. Il centro studi di Unimpresa ha sottolineato che sono state quasi 700.000 le imprese che avevano aderito alla sospensione delle rate dei loro mutui, prevista nel decreto "Cura Italia", scaduto nel dicembre scorso e non rinnovato. Solo qui, si rischia un 'crac' da 30 miliardi, secondo quello studio. Per il prossimo futuro 2022/23 sul sistema  bancario si prevedono nuovi record di crediti in sofferenza. Le banche successivamente saranno tenute a svenderne buona parte e si prevede il sorpasso degli UTP (Unlikely to pay) rispetto agli NPL (Non performing loans). Purtroppo per un Paese strutturalmente fragile come l’Italia, e in modo più forte per il Mezzogiorno, molti nodi verranno al pettine tutti insieme! Abbiamo, e desidero ricordarlo ancora, un’enorme esposizione sul debito pubblico, però, largamente compensata dal patrimonio privato, ben superiore rispetto ad altri paesi europei e da un indebitamento privato che, pur con le sue difficoltà, resta di gran lunga inferiore a quellofrancese, per esempio. Ma forse è proprio questo il problema! Quindi scenari grigi e davvero problematici.

 

La legge della concentrazione sembra abbia snaturato il rapporto banca-piccola impresa che avvicinava il modello di prossimità territoriale italiano a quello vigente nei Lander tedeschi. Lei che ha esperienze  in Deutsche Bank, quali differenze ravvede tra sistema tedesco di relazioni banca-Impresa e sistema  italiano?
Il sistema bancario tedesco e quello italiano sono diversi e nulla c’entra che il rapporto banca/impresa in Italia sia mutato per la mancanza oggi della banca di territorio. Sono totalmente diversi l’approccio e la relazione fra cliente e banca. Diversi perché noi italiani siamo diversi dai tedeschi, e lo saremo sempre! Il sistema dei rapporti (tendenti alla chiarezza) tra banche e imprese in Germania è stato tradizionalmente indicato come uno dei principali fattori alla base del successo del processo di industrializzazione tedesco.
L’espressione di Hilferding del 1910 il “capitalismo finanziario è tuttora utilizzata per descrivere in modo sintetico un modello in cui le banche tedesche svolgono un ruolo centrale, anche in termini di capacità

 d’indirizzo e di controllo, nei confronti del sistema industriale. Diversamente avviene in Italia dove, ancora oggi, il rapporto “non è sereno” fra le parti. In Germania esiste sempre il concetto vecchio della House Bank (la Banca di casa) per la considerevole influenza e capacità di controllo che le banche nel loro complesso sono in grado di esercitare sugli organi di governo delle imprese. In Italia invece non c’è mai stato un rapporto di collaborazione pieno, di sudditanza certamente e in particolare nel Mezzogiorno. In Italia dobbiamo ancora percorrerne tanta di strada, anche in organizzazione e automazione dei processi bancari. In Italia le Banche devono ancora lavorare molto per guadagnare in efficienza e devono lavorare di più per migliorare il rapporto banca -cliente. Nel Mezzogiorno purtroppo il gap è più alto rispetto al Nord.

 

Patrizia Gallo per le rubriche Macro/Scenari e Cultura Economica di @euroeconomie


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