I principi di uguaglianza e di parità di retribuzione sono già nel Trattato istitutivo della CEE. Tuttavia la parità di genere resta – tuttora – un'opera incompiuta. E nell'accesso alle alte cariche nel mondo del lavoro permane l'invalicabile “soffitto di cristallo”. Essendo la disparità di genere il prodotto di una struttura sociale e di una cultura patriarcale radicata, di certo, serve anche un cambiamento di mentalità, cultura e costume. Quindi, le leggi da sole non bastano. Ma ciò non significa che gli interventi legislativi non abbiano alcun effetto (anche se andrebbero risolte tutte le altre cause dei divari di genere, quali la minore partecipazione delle donne al mercato del lavoro, il maggior ricorso al lavoro parziale e alle interruzioni di carriera, la segregazione verticale e orizzontale basata su stereotipi e discriminazioni, il lavoro invisibile e non retribuito e la carenza di servizi e asili nido, ecc.).
A livello europeo, attualmente, si sta lavorando all'attuazione della Strategia 2020-2025.
Novità vanno ora delineandosi per la trasparenza salariale, e l'equilibrio di genere nei Consigli di amministrazione.
I. Trasparenza salariale – Nel corso delle consultazioni delle parti sociali, la
Confederazione europea dei sindacati ha contestato, in particolare, la soglia di 250 dipendenti considerata troppo elevata; la possibilità lasciata alle aziende di definire le tipologie di lavoro comparabili in termini di parità di retribuzione per un lavoro di pari valore; e il riferimento, nel testo, ai soli rappresentanti del personale e non ai sindacati.
Il 17 marzo 2022, la Commissione per i diritti della donna e la Commissione per l’occupazione del Parlamento europeo (con 71 voti favorevoli e 20 contrari) hanno poi adottato una Posizione - sulla “Proposta di direttiva volta a rafforzare la trasparenza salariale nelle aziende per combattere la discriminazione salariale”. Durante la sessione plenaria del 4-7 aprile 2022, il Parlamento europeo dovrebbe votarla, per consentire l’avvio dei negoziati con il Consiglio dell’Unione Europea che ha adottato una propria Posizione lo scorso dicembre.
Gli eurodeputati hanno esteso l'obbligo di una Relazione sul divario salariale alle aziende con oltre 50 dipendenti, anziché 250 come proposto dalla Commissione. La definizione di questa soglia è di certo uno dei nodi da sciogliere nel prossimo negoziato tra PE e Consiglio. Alcuni Stati membri considerano la soglia di 250 lavoratori come una linea rossa al di sotto della quale non è possibile scendere.
Diverse organizzazioni imprenditoriali settoriali a livello europeo hanno già contestato l'ipotesi di abbassamento di questa soglia, in un momento in cui l'economia europea sta appena ripartendo dopo lo shock della crisi da Covid-19 e si trova ad affrontare le conseguenze della guerra in Ucraina. Inoltre, la proposta della Commissione - a meno che il datore di lavoro non giustifichi una differenza media nei livelli retributivi superiore al 5%, con fattori oggettivi e non collegati al genere - prevede una valutazione congiunta con i rappresentanti dei lavoratori. I parlamentari europei propongono di abbassare tale soglia al 2,5%. E intendono vietare le clausole contrattuali che impediscono ai lavoratori di divulgare informazioni relative alle retribuzioni: cioé di cercare informazioni sulla loro categoria o su altre categorie di lavoratori.
Resta da vedere quale sarà il risultato del negoziato.
II. Miglioramento dell'equilibrio di genere nei Cda delle imprese – Per l'opposizione di più Paesi membri, fra cui la Germania, i Paesi scandinavi, e i paesi Baltici, la proposta di direttiva del 2012 (che proponeva una presenza minima del 40% d donne nelle società quotate in borsa e del 33% per le società più piccole, ad eccezione delle p.m.i.) si è arenata. Attualmente, poiché nel corso degli ultimi 10 anni molte cose si sono mosse, e c'è
maggiore consapevolezza, la sua adozione figura tra le priorità del Programma di lavoro della Presidenza francese del Consiglio. In Francia, nei CdA delle grandi società quotate in borsa, le donne rappresentano il 45% contro una media UE del 30%. In Italia - oggi - grazie a un emendamento che ha rafforzato la legge Golfo-Mosca le donne hanno accresciuto le loro posizioni di vertice, raggiungendo il 40% dei componenti nei Consigli di amministrazione nazionali rispetto al 7% del 2011. E il nuovo governo semaforo tedesco – composto per metà da donne – ha già espresso maggiore sensibilità sulle questioni di genere.
In questo contesto, a livello UE, il 14 marzo 2022 - dopo 10 anni di stallo - il Consiglio ha adottato la sua Posizione a favore della “Proposta di direttiva riguardante il miglioramento dell'equilibrio di genere fra gli amministratori senza incarichi esecutivi delle società quotate in Borsa e relative misure”. Il testo ha ricevuto il sostegno della maggior parte degli Stati membri. L'obiettivo è migliorare concretamente l'equilibrio di genere nei Cda delle imprese operanti in tutti i settori produttivi, stabilendo – per le aziende - un obiettivo quantitativo per la quota di membri del sesso sottorappresentato nei Consigli di amministrazione delle aziende quotate. Da qui due possibili obiettivi:
- raggiungere il 40% di donne tra gli Amministratori senza incarichi esecutivi,
- o raggiungere il 33% di donne nei Consigli d’amministrazione.
Qualora questi obiettivi non fossero raggiunti, la società sarà tenuta ad effettuare nomine o elezioni di Amministratori introducendo, nelle procedure di selezione per tali posti, criteri chiari, univoci e formulati in modo neutro.
Nella sua plenaria del prossimo 4-7 aprile 2022, il Parlamento europeo (come già la sua Commissione per i Diritti delle donne e l'uguaglianza di genere e la sua Commissione giuridica) dovrebbe dare l'ok per avviare al più presto i negoziati con il Consiglio, per tentare di adottare il testo sotto l'attuale presidenza francese dell'UE.
Silvana Paruolo per le rubriche Macro/Scenari e Cultura Economica di di @euroeconomie